Violenza ostetrica: quando ho affrontato il tema ho scritto:
Un concetto che ho voluto esplorare non solo dal punto di vista clinico, ma anche umano, sociale, culturale e politico. Perché, come sottolineavo allora, questo tipo di violenza:
“Può manifestarsi in forma verbale come psicofisica e può produrre effetti anche a lungo termine.”
L’articolo suscitò grande attenzione allora e continua a farlo. Tra le voci che sono arrivate c’è quella dell’avvocata Stefania Crespi, che ha voluto offrire un contributo prezioso: una riflessione lucida e documentata, che guarda alla violenza ostetrica non solo come fatto umano e sociale, ma anche come tema giuridico ancora troppo poco affrontato.
Il Portogallo sarà il primo Paese in Europa ad adottare una legge che riconosce e tutela le donne dalla violenza ostetrica: un passo avanti importante, anche se non privo di criticità.
- 1 Il vuoto normativo che pesa sul corpo delle donne
- 2 Lettera dell’Avvocata Stefania Crespi
- 3 La violenza ostetrica: le definizioni
- 4 La violenza ostetrica nel mondo
- 5 La violenza ostetrica in Italia
- 6 I reati legati alla violenza ostetrica
- 7 Conclusioni
- 8 Un problema reale, urgente, culturale
- 9 Violenza ostetrica: la voce di tutte
Il vuoto normativo che pesa sul corpo delle donne
Nel mio precedente approfondimento, facevo notare come:
Un ritardo normativo che rende più difficile tutelare chi ha subito abusi, e più semplice ignorare, minimizzare, giustificare comportamenti inaccettabili.
È in questo contesto che la lettera dell’Avvocata Crespi si inserisce con chiarezza e determinazione. Una voce che chiede riconoscimento, attenzione, cambiamento per tutte. Una voce che sa parlare al diritto, ma anche al dolore.
Lettera dell’Avvocata Stefania Crespi
Ricevere questa lettera è stata la dimostrazione che il tema della violenza ostetrica riguarda non solo le donne che l’hanno subita, ma tutti coloro che hanno a cuore la giustizia, i diritti e la salute.
La violenza ostetrica e ginecologica
Introduzione
La gravidanza e il parto sono momenti molto importanti nella vita di una donna e dovrebbero essere esperienze positive, anche gratificanti, senza alcuna violenza, abuso o maltrattamento.
Essere seguite dal ginecologo e dall’ostetrica è essenziale per vivere questo momento il più serenamente possibile. E’, pertanto, molto grave leggere o sentire racconti di donne a cui le ostetriche avrebbero detto di non lamentarsi, di non fare versi, di non camminare per i corridoi, di rimanere sul lettino ginecologico durante il parto, sebbene scomodo.
Alcune hanno ricevuto insulti e offese; ad altre sono state inflitte pratiche mediche invasive (anche senza il loro consenso); alcune segnalano porte aperte delle stanze durante i travagli; ad altre sono state fatte delle richieste (non certamente cordiali) di non urlare oppure è stato detto “Resisti, tanto il cesareo non te lo pratichiamo” o “Resisti perché non ti somministriamo terapie antidolorifiche”.
Inoltre, alcune neomamme raccontano che dopo il parto, in situazioni di sconforto perché il latte non arriva o quando il neonato non si attacca bene al seno o se decidono di non allattare al seno, sono state colpevolizzate. Tutte queste sono forme di violenza ostetrica.
La violenza ostetrica: le definizioni
Con l’espressione violenza ostetrica si indicano quei comportamenti violenti, maltrattanti e abusanti subiti durante la gravidanza, durante o dopo il parto da parte, non solo dalle ostetriche, ma anche da ginecologi, infermieri e, in generale, da professionisti sanitari.
Save the Children la definisce come “un insieme di comportamenti che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, come l’eccesso di interventi medici, la prestazione di cure e farmaci senza consenso o la mancanza di rispetto del corpo femminile e per la libertà di scelta su di esso”.
Nel 2014 l’Oms emanò la Dichiarazione “La prevenzione e l’eliminazione della mancanza di rispetto e degli abusi durante il travaglio e il parto presso le strutture sanitarie” come la sterilizzazione, la mancanza di riservatezza, la carenza di un consenso realmente informato, il rifiuto di offrire terapie per il dolore, violazione della privacy, il rifiuto di ricezione, la trascuratezza nell’assistenza al parto per cui la donna viene messa in pericolo.
Secondo le raccomandazioni dell’OMS del 2018 “Assistenza intrapartum per un’esperienza positiva della nascita”, occorre fornire un “assistenza alla maternità rispettosa, intesa come cura organizzata e fornita a tutte le donne nella maniera tale da mantenere la loro dignità, privacy e riservatezza, ed assicurarsi che non subiscano lesioni e maltrattamenti, che consenta la scelta informata e il sostegno continuo durante il travaglio e la nascita”.
Inoltre, l’OMS precisa che “data la complessità dei fattori di maltrattamento durante il parto nelle strutture ospedaliere” occorre “ridurre gli abusi e migliorare l’esperienza delle donne in merito all’assistenza richiede interventi a livello relazionale tra la donna e il personale che la assiste, insieme agli interventi a livello della singola struttura e del sistema sanitario”.
La violenza ostetrica nel mondo
In America Latina diversi Paesi hanno emesso specifiche leggi sulla “Violenza ostetrica e ginecologica”, considerandola una forma particolare di “violenza di genere”.
La legge venezuelana del 2007 definisce la violenza ostetrica come l’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna.
Una definizione simile si ritrova nella Legge Argentina del 2009, seguita da quella del 2013 del Panama e Bolivia. In Brasile la norma precisa che la violenza ostetrica può essere commessa anche da familiari o conviventi; diversi stati messicani hanno regolamentato la violenza ostetrica e nel 2017 anche l’Uruguay.
Il 3 ottobre 2019 il Consiglio d’Europa in una Risoluzione ha precisato che la violenza ostetrica è una “forma di violenza rimasta nascosta per molto tempo, tutt’ora spesso ignorata”.
L’ONU ha emanato nel 2019 il primo Rapporto sulla violenza ostetrica, rilevando come la stessa costituisca una “violazione dei diritti umani”.
La Commissione Europea ha pubblicato nel 2024 un Rapporto (Obstetric violence in the European Union: Situational analysis and policy recommendations – La violenza ostetrica nell’Unione Europea. Analisi situazionale e raccomandazioni politiche), relativo a dati raccolti tra il 2022 e il 2023: la percentuale di donne partorienti che hanno subito violenza ostetrica è tra il 21% (Italia) e l’81% (Polonia) ed avviene per mancanza di consenso e di consenso informato, per abusi verbali e fisici (episiotomie non necessarie, esplorazioni vaginali) o mancanza di informazioni e di supporto.
A maggio 2024 un’indagine sul trauma della nascita (Birth Trauma) è stata presentata al Parlamento britannico dal gruppo parlamentare multipartitico: sono stati considerati i resoconti dei parti di 1.311 donne dai quali sono emersi livelli di igiene scarsi, carenza di personale, lesioni causate da errori; inoltre una donna su 20 dopo il parto ha sofferto di disturbo da stress post-traumatico; infine, molte donne hanno segnalato di aver subito umiliazioni e di essersi sentite imbarazzate, trascurate, ignorate.
La violenza ostetrica in Italia
In Italia non esiste un’apposita legislazione, sebbene in base ad un’indagine Doxa-OVOltalia basata su dati raccolti dal 2003 al 2017, 1 milione di donne su 5 milioni, di età compresa tra 18 e 54 anni d’età, con almeno un figlio da 0 a 14 anni, abbia dichiarato di essere stata vittima di violenza psicologica o fisica durante il primo parto; ciò ha portato il 6% delle donne a non avere altri figli. Il 41% ha affermato che l’assistenza al parto è stata traumatica, in particolare, per l’imposizione dell’episiotomia, praticata sul 54% delle intervistate.
I reati legati alla violenza ostetrica
Le violazioni nei confronti della partoriente si realizzano mentre viene realizzata una prestazione sanitaria alla quale la stessa si è sottoposta volontariamente, richiedendo l’assistenza dei sanitari e autorizzando le pratiche mediche opportune.
Diverse sono le fattispecie di reato che potrebbero trovare applicazione, qualora, chiaramente, ne sussistano i presupposti: la violenza privata, le lesioni personali, la mutilazione di organi genitali femminili (reato previsto dall’art. 583 bis c.p., che presume “l’assenza di esigenze terapeutiche”), l’interruzione colposa di gravidanza (prevista dall’art. 593 bis c.p.) e persino la violenza sessuale e l’omicidio colposo.
In particolare, la violenza privata consiste nell’obbligare a fare, tollerare od omettere qualcosa con violenza o minaccia: ad esempio, la partoriente potrebbe essere costretta a subire una cura o un trattamento senza il suo consenso, con le minacce del personale sanitario o con violenza fisica.
Le lesioni personali consistono in vere e proprie malattie del corpo o della mente, causate dalle azioni (o omissioni) dei sanitari: ad esempio la partoriente potrebbe subire ferite o successivamente manifestare uno stress post traumatico.
La violenza sessuale consiste nel costringere con violenza minaccia o abuso di autorità a fare o subire un atto sessuale oppure nell’indurre a compiere o subire atti sessuali, abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima, ovvero traendo in inganno la stessa sostituendosi ad altra persona.
Conclusioni
Occorrerebbe un intervento legislativo specifico su questa delicata materia, al fine di trovare un equilibrio tra la tutela dei diritti delle donne partorienti e l’esercizio della professione medica. Ed invero molti medici ed operatori sanitari respingono le pesanti accuse di violenza ostetrica e ginecologica, soprattutto coloro che forniscono un’eccellente assistenza durante il parto.
Non va nemmeno dimenticato come in molte situazioni le ostetriche debbano stare in silenzio di fronte al comportamento violento dei loro superiori o colleghi, sebbene provino rabbia e, oltretutto, grande empatia verso le partorienti.
Un problema reale, urgente, culturale
Nel mio articolo scrivevo che:
Una richiesta chiara, troppo spesso ignorata. Ed è proprio questo il nodo: il cambio culturale che ancora manca.
Perché, come concludevo allora:
Violenza ostetrica: la voce di tutte
La lettera dell’Avvocata Crespi lo conferma con forza: non possiamo più restare in silenzio. La violenza ostetrica esiste, e finché non verrà riconosciuta, raccontata, affrontata, continuerà a colpire. A ferire. A lasciare cicatrici invisibili.
Noi di Unimamma crediamo che ogni racconto sia una crepa nel muro dell’omertà e che ogni voce conti.
Per questo ripetiamo oggi:
Ma il cambiamento non può dipendere solo dalle donne. Deve partire anche da chi le accompagna nel momento più vulnerabile.
L’invito a raccontare, esprimere opinioni, suggerire azioni è sempre valido. La tua voce può fare la differenza.
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