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Indagare la violenza ostetrica da un punto di osservazione privilegiato, l’ho sentito come un dovere oltre che un diritto. 

Quando sei ostetrica e intorno a te raccogli una community di 163.000 persone in continua crescita, sai di avere una grande responsabilità. 

La responsabilità di essere onesta, leale e preparata rispetto ad ogni tema che tratti. 

Hai la consapevolezza di venire ascoltata, per questo ogni tua singola dichiarazione, addirittura ogni tua parola, va pensata affinché possa essere compresa in maniera chiara e difficilmente possa venire fraintesa. 

Ho deciso così di fare uno studio epidemiologico descrittivo basato su due ampi questionari proposti, rispettivamente, alle mamme e agli operatori sanitari. Oggetto di studio è stata la violenza ostetrica vista e vissuta da entrambe le parti

Questo articolo descrive il contesto entro il quale è nato lo studio, come è stato impostato e cosa ne è disceso.  

A mio avviso fare divulgazione significa anche farsi carico di ciò che si trasmette e per farlo ci vogliono la formazione, ovvero i corsi che propongo da anni, ma anche l’analisi, ovvero lo studio che ho scelto di fare. Questo lavoro ha richiesto un grande impegno ma mi auguro possa servire a fare luce sulle due facce del problema per indagare soluzioni che possano realizzarsi quanto prima. 

Perché indagare la violenza ostetrica

Ho sentito il bisogno di esplorare la complessità del tema per poter offrire un quadro ampio e possibili risposte. 

Chiedere alle mamme in forma organica e strutturata di raccontare la propria esperienza è stato diverso dal leggere i loro messaggi su Instagram. 

Dare loro voce ha significato agevolare un racconto articolato, capace di restituire un senso più ampio della loro esperienza. 

Inoltre, mi ha permesso di accedere ad una narrazione spontanea ma guidata, in grado di fare emergere i bisogni insoddisfatti al netto di qualsiasi polemica. 

Dare modo alle mamme di essere ascoltate, in altre parole, mi ha aperto le porte su una realtà che, per quanto diffusa, non è esplorata fino in fondo. 

L’indagine, condotta con le stesse premesse anche lato operatori sanitari, ha fornito una serie di dati importanti quanto necessari.

Anziché stabilire a priori che il problema esiste e riguarda intere categorie professionali, ho scelto di chiedere a quelle stesse categorie di parlarmene di modo che potesse essere riportata una pluralità di voci e non solo opinioni esterne.

Volevo capire

Qualcuno potrebbe dire che l’ho fatto in quanto ostetrica, e questo non lo nego. 

A ciò, però, bisogna aggiungere che proprio in quanto ostetrica ho cercato di porre quelle domande scomode che difficilmente l’opinione pubblica ha modo di porre in maniera articolata. 

Volevo capire perché si creano le basi per atti di violenza ostetrica, quali ne sono le cause, come vengono agiti e come vengono percepiti e vissuti dall’interno. 

Scopo ultimo era offrire risposte e margini di miglioramento.  Strada facendo, però, leggendo e analizzando i dati raccolti, mi sono accorta di qualcosa a cui non avevo mai pensato. Stavo in realtà guardando due mondi che, palesemente vorrebbero prendersi per mano ed aiutarsi, ma che per qualche motivo si ritrovano ad una distanza che impedisce loro di farlo. 

La prima necessità emersa, dunque, è stata quella di rimettere in comunicazione le parti, donne e operatori

Questo è  parte di ciò che, attraverso la mia voce, intendo fare: tentare di smantellare pregiudizi e storture del sistema e riportare al centro di tutto la persona. 

 

indagare la violenza ostetrica personale sanitario

 

Violenza ostetrica vs obstetrician violence

La definizione italiana violenza ostetrica deriva da quella inglese “obstetric violence”. 

Gli inglesi, però, indicano con il termine obstetrics l’ostetricia e con il termine midwife la figura professionale dell’ostetrica. 

Ne discende che quando in inglese si parla di violenza ostetrica è chiaro a tutti che il riferimento è fatto alla materia, ovvero all’ostetricia, e non alla figura dell’ostetrica

Diverso invece il messaggio che passa in italiano, dove il termine ostetrica riferito a violenza viene percepito come riferito alla figura professionale a non alla materia. Non a caso, infatti, talvolta si preferisce la definizione di violenza ostetrica e ginecologica in modo da avvicinarsi maggiormente al significato corretto di questa espressione. 

Perché è importante sottolineare questo aspetto?

Questa sottolineatura è, di fatto, importante perché le parole hanno un peso specifico. Esse determinano, definiscono e talvolta stigmatizzano. 

Se nel percepito comune la violenza fatta alle donne in gravidanza, parto e post parto è attuata dell’ostetrica, è evidente che si sta perdendo di vista l’ambito nel quale ci si sta muovendo. E’ chiaro a tutti, inoltre, che il rischio è quello di aumentare la distanza tra donna e operatore attuando l’esatto opposto di ciò che andrebbe fatto. 

Indagare la violenza ostetrica: da dove sono partita

Violenza ostetrica e The Lancet

The Lancet, nota rivista scientifica inglese, a proposito di violenza ostetrica cita testualmente: 

“Sebbene i miglioramenti nell’assistenza perinatale abbiano contribuito a salvare molte vite in tutto il mondo, le disuguaglianze nella salute riproduttiva rimangono diffuse. Le disparità razziali, geografiche e di classe determinano esiti divergenti di salute materna e infantile, nonché un accesso ineguale a forme vitali di assistenza sanitaria come l’aborto. Le odierne ingiustizie riproduttive sono contestualizzate da molti fattori, inclusa la storia poco riconosciuta della violenza ostetrica. La violenza ostetrica si riferisce al danno inflitto durante o in relazione alla gravidanza, al parto e al periodo post-parto. Tale violenza può essere sia interpersonale che strutturale, derivante dalle azioni degli operatori sanitari e anche da accordi politici ed economici più ampi che danneggiano in modo sproporzionato le popolazioni emarginate.” 

In questo articolo ciò che più mi colpisce è  il fatto che venga evidenziata una forma di violenza “strutturale”

Ho deciso quindi di indagare più approfonditamente l’argomento, cercando di comprenderne meglio gli aspetti e, soprattutto, le ricadute nella prassi quotidiana. 

Violenza ostetrica: Adam Kay e la BBC

Nella mia ricerca di materiale mi sono imbattuta in una miniserie televisiva inglese messa in onda dalla BBC intitolata This is going to Hurt. 

Essa si basa sull’omonimo libro scritto da Adam Kay il quale racconta episodi realmente da lui vissuti durante il suo incarico di ostetrico durato dal 2006 al 2010. 

Posto che si tratta di una serie tv, si potrebbe immaginare che i racconti siano stati pensati per attirare l’attenzione del pubblico. 

In realtà, invece, sono tutti episodi realmente avvenuti e già fedelmente riportati nel libro.

La serie TV

indagare la violenza ostetrica donna che partorisceNella serie narra l’esperienza professionale di un gruppo di giovani medici, ostetrici e ginecologi che lavorano in un caotico ospedale inglese. 

Il focus è sugli aspetti emotivi e sui risvolti che la professione esercitata in ospedale produce nel personale. 

Uno degli aspetti più interessanti è la denuncia esplicita di un sistema, all’interno del quale i giovani medici non vengono adeguatamente supportati agli esordi della professione e, meno che mai, vengono incoraggiati e apprezzati per i loro successi. 

Un altro aspetto troppo spesso sottaciuto, riguarda quella triste forma di “vendetta” che il medico, data la sua posizione privilegiata rispetto alla partoriente, può esercitare durante il proprio servizio. 

Il tatuaggio violato 

In uno degli episodi vediamo infatti una donna in travaglio che aggredisce verbalmente in maniera razzista uno dei medici dell’équipe. 

Senza dubbio la donna sbaglia ad esprimersi in termini inadeguati e irrispettosi ma la conseguenza che dovrà subire è talmente crudele da rasentare il sadismo.

Adam Kay, protagonista della serie, mette immediatamente in atto una forma di vendetta crudele nei confronti della donna. Lo fa sentendosi pienamente in diritto di farlo e dall’alto della sua posizione che gli consente di avere un assoluto controllo sulla donna.

Al momento di incidere il ventre per eseguire il cesareo, sceglie volontariamente di usare il bisturi e i punti di sutura per deformare il tatuaggio che la signora ha sul corpo. 

L’intervento di una sua collega darà il via ad un dialogo colmo di enormi spunti di riflessione. 

La collega accuserà infatti Adam di aggressione nei confronti della donna, di abuso di potere, di orgoglio trasformato in arma e di disonestà professionale e personale. 

In un caso come questo è evidente che la violenza ostetrica è talmente palese da non poter non essere riconosciuta, ma non sempre è così. 

Molte volte, infatti, è un atto più subdolo, dai confini talmente labili che possono essere confusi e scambiati per atto necessario. 

Indagare la violenza ostetrica strutturale 

 

Perché talvolta accade che un atto di violenza ostetrica venga realizzato senza che vi sia un moto di rivolta interno da parte dello staff?

Semplicemente perché quel gesto è talmente normalizzato da non destare più alcuna reazione. In questi casi si parla di violenza strutturale.

La violenza strutturale, quindi, è quella forma di violenza che, all’interno di un reparto ostetrico ginecologico (ma il discorso si potrebbe aprire a più livelli, dal contesto familiare a quello sociale ad esempio) viene normalizzata. 

Quando ciò accade anche la percezione da parte del personale sanitario muta e molto di ciò che ad occhi terzi apparirebbe come violenza, in realtà è prassi abituale che rende gli operatori inconsapevoli del danno inflitto. 

In questi casi dunque la violenza ostetrica può diventare strutturale, inconsapevole e quindi paradossalmente involontaria. 

La desensibilizzazione rispetto alla violenza ostetrica

 

Altro elemento di non poco conto nell’indagare il tema della violenza ostetrica è la desensibilizzazione che può colpire gli operatori rispetto agli abusi commessi. 

Quando la prassi ospedaliera viene disumanizzata e trasformata in operatività esclusivamente medica, tutto quanto riguarda la sfera emotiva, psicologica e non necessaria alla sopravvivenza dei pazienti viene escluso dal processo. 

In questi casi ci si abitua talmente a irrispettose prassi consolidate, che si diviene insensibili alla loro vista. 

Un esempio di ciò potrebbero essere tutte quelle azioni durante un travaglio complesso che vengono fatte senza comunicare correttamente e rispettosamente alla donna quello che quanto si sta facendo. 

E’ vero che in quei casi si agisce in nome della medicina e della tutela di madre e nascituro ma, è altresì vero, che le azioni compiute all’insaputa della donna o senza adeguata comunicazione, risultano violente di cui il personale medico potrebbe ormai essere inconsapevole. 

L’opinione dei sanitari è fondamentale per indagare la violenza ostetrica

Indagare in questa direzione ha molteplici risvolti. primo fra tutti colmare,come detto, le distanze.

Partiamo da un dato oggettivo. Nella vita di una donna il numero dei parti è limitato. 

indagare la violenza ostetrica: questionari

Ciò significa che l’esperienza gravidanza-parto-puerperio per ciascuna non può divenire abituale come, ad esempio, lo è sottoporsi a visite e controlli sanitari periodici. Questo fa sì che nessuna donna possa dire di avere una vasta esperienza in tal senso. 

Ecco allora che, per mancanza di informazioni ed esperienza, è possibile subire violenza ostetrica senza averne piena consapevolezza o, peggio, sentendosi incerte al riguardo se non addirittura colpevoli per avere frainteso, essersi lamentate o non avere “sopportato” abbastanza. 

Esiste, ed è innegabile, una forma di sottomissione della partoriente e della puerpera nei confronti del personale sanitario che induce a non opporsi. 

Ecco allora che diventa di fondamentale importanza il parere libero e deontologicamente onesto e corretto dell’operatore, il quale può e deve intervenire nel caso in cui uno o più membri dello staff dovessero agire in  maniera scorretta. 

In altri termini gli operatori sanitari sono, al pari se non addirittura meglio delle donne, qualificati per denunciare ed indagare le pratiche che portano alla violenza ostetrica e per questo ascoltarli diventa un atto dovuto e necessario.  

 

Come intervenire

Dal loro ascolto possono discendere indicazioni importanti sul come intervenire. Le azioni che si possono compiere possono realizzarsi a più livelli. 

Si può intervenire a livello culturale, muovendo l’opinione pubblica come già avviene da tempo. 

E’ possibile lavorare sul piano normativo affinché esista una cintura legale entro la quale si distingua in maniera netta il giusto dall’ingiusto. 

Si devono attuare interventi a livello di categoria, promuovendo formazione per ciascuna delle professionalità che agiscono in ambito ostetrico ginecologico. 

Credo, però, che l’azione più incisiva e, soprattutto, più immediata debba partire dall’interno del sistema, ovvero dagli operatori sanitari stessi. 

Formare il personale sanitario a riconoscere la violenza ostetrica, sia essa strutturale o occasionale, è il primo vero passo da compiere

Promuovere la denuncia interna di eventuali atti di violenza ostetrica è il secondo, dove per “denuncia interna” non intendo una denuncia formale (necessaria, sia chiaro, per i casi gravi) ma una cultura della denuncia agita seduta stante. 

Se un’équipe è formata da cinque persone e tre o quattro di queste riconoscono e intervengono immediatamente ogni qualvolta si verifica un abuso, la prassi inevitabilmente cambia. 

In questo modo si creano catene di buone prassi difficili da interrompere. 

Per arrivare a questo, però, è necessario formare tutti a tutti i livelli e continuare a farlo nel tempo per sostenere la continuità della buona assistenza e l’interruzione della cattiva.

 

IMPORTANTE 

Mi preme dire a chiare lettere che il problema non riguarda solo l’Italia. 

Ancora oggi, a più latitudini, il tema è caldo, dibattuto e affrontato. 

E’ importante sottolinearlo per non rischiare di pensare che si tratti di una deriva tipicamente italiana. No, è una piaga che affligge moltissimi Paesi e che, anche per questo motivo, richiede la massima allerta ed il più efficace intervento.

Violenza ostetrica: lo studio epidemiologico descrittivo

Come indicato in premessa, ho ritenuto doveroso impiegare la mia voce per indagare il fenomeno da un punto di osservazione privilegiato: la mia community.

Basandomi sulle moltissime informazioni che quotidianamente raccolgo da Instagram e dai corsi che tengo in presenza e, incrociando questo vasto materiale con la mia esperienza professionale di ostetrica e divulgatrice, mi sono resa conto che avrei potuto fare di più di quanto faccio. 

Mi sono accorta che avrei potuto incidere maggiormente perché chi mi segue si fida di me, mi conosce e sa che non rappresento una categoria, rappresento solo me stessa e molte altre donne. 

Da qui l’idea di sottoporre alle mamme ed agli operatori due distinti questionari da compilare in forma del tutto anonima. 

Indagare la violenza ostetrica: le domande alle mamme

Struttura del questionario 

indagare la violenza ostetrica: gradimentoPremesso che l’iniziativa ha avuto un riscontro molto ampio e trasversale, devo ammettere che l’analisi dei dati e delle informazioni ricevute, ha richiesto parecchio tempo e altrettanto lavoro. 

Il questionario è stato suddiviso in quattro sezioni:

  • Preparazione al parto
  • Evento nascita 
  • Dal parto alla dimissione
  • Esperienze negative e segnalazioni

Più una sezione finale nella quale ho lasciato uno spazio libero alle mamme per eventualmente comunicare qualcosa che non era ricompreso nelle domande e che ritenevano importante dichiarare.

Ciascuna sezione prevedeva da sei a otto domande, alcune aperte altre a risposta multipla. 

Il numero di questionari raccolto sfiora la soglia delle 12.000 adesioni.

Indagare la violenza ostetrica: le domande agli operatori

Struttura del questionario

Il questionario presentato agli operatori, anch’esso ovviamente anonimo, ha inteso indagare sia i disagi che le reali condizioni di lavoro in reparto. 

Cosa ancor più interessante, è stato chiedere agli operatori stessi come loro percepissero la violenza ostetrica (il che ci riporta al discorso fatto qualche paragrafo sopra). 

Lo schema del questionario è rimasto a quattro sezioni:  

  • La tua professione 
  • La tua realtà lavorativa
  • La tua gratificazione personale 
  • Esperienze negative e segnalazioni

 

più una sezione a risposte aperte. In quest’ultima viene chiesto: 

  • di parlare direttamente alle donne che hanno subito violenza ostetrica, 
  • di dare un consiglio su come scegliere la struttura nella quale partorire
  • di dire qualcosa di rilevante che non sia stato indagato attraverso le domande precedenti 

 

NOTA: 

Faccio notare che in questo caso le domande inserite in ciascuna sezione risultano essere numericamente maggiori di quelle inserite nei questionari delle mamme. Questo perché rivolgendomi a diverse tipologie di specialisti è stato necessario diversificare le aree di indagine. 

Indagare la violenza ostetrica dalla parte delle mamme

Alcuni numeri

  • All’indagine hanno risposto circa 12.000 mamme.
  • Le regioni più rappresentate, in termini di numero di risposte ottenute, sono state: Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia Romagna e Piemonte
  • Se però si considera la proporzione tra numero di abitanti e numero di risposte emergono anche Umbria, Molise, Basilicata e Valle D’Aosta. 
  • Quasi l’80% delle donne dichiara di essere stata seguita in gravidanza dal ginecologo mentre il 9% dal consultorio.
  • Quasi l’80% ha seguito un corso preparto mentre un 18% non lo ha seguito.
  • Rispetto alla presenza del partner o di un caregiver emerge che il 41% delle donne ha avuto la possibilità di essere accompagnata durante travaglio e parto. 
  • Il 37% ha potuto essere accompagnata solo per un certo periodo 
  • Al 14% delle donne non è stato permesso di essere accompagnata nel corso dell’evento parto. 
  • I parti riferiti sono in prevalenza avvenuti negli anni compresi tra il 2018 ed il 2022 (anno maggiormente rappresentato).
  • Molto significativi sono i dati raccolti rispetto alla possibilità di avere il partner o un caregiver accanto nel periodo di ricovero post parto
  • Il 60% delle donne ha potuto avere accanto una persona per meno di 4 ore al giorno.
  • Al 20% circa delle donne è stata negata questa possibilità. 
  • A circa l’11% di donne è stata concessa la visita prolungata ma solo diurna.
  • Solo l’ 8% ha potuto avere qualcuno accanto illimitatamente.

 

Indaghiamo la violenza ostetrica attraverso i dati forniti dalle donne

Partiamo da un dato che non può e non deve più essere taciuto. 

Oltre il 60% delle donne intervistate dichiara di avere subito una forma di violenza ostetrica. Questo valore, indipendentemente dalla sua valenza statistica, non lascia dubbi e va considerato l’emblema di un dolore ampio che tutti noi abbiamo il dovere di azzerare. 

Un dolore silente

indagare la violenza ostetrica: il dolore delle mamme Il dato è di per sé molto più che allarmante. 

E’ come se fosse stata scoperchiata una pentola in ebollizione di cui nessuno ha mai voluto guardare davvero da vicino il contenuto. 

Sembrerebbe esserci una marea imponente di donne che hanno assorbito come spugne questa violenza, introiettando l’accaduto come fosse scontato, ammissibile e facente parte dell’evento nascita stesso. 

Voglio subito sgombrare il campo da chi potrebbe obiettare che si tratta di risposte raccolte dal web e che possono quindi risentire di tutti i difetti, i limiti e le dinamiche tipiche dello strumento. 

Vero, ma c’è un particolare. 

I dati sono stati raccolti in forma del tutto anonima e, soprattutto privata. nessuna delle persone che ha risposto ha potuto vedere le risposte date da altri facendosi influenzare. 

Secondo, poi, anonimato e riservatezza hanno ridotto quasi a zero la possibilità che qualcuno partecipasse per sentirsi in qualche modo protagonista sui social. 

Il dato raccolto è per molti aspetti “pulito”, disinteressato e spontaneo.

Dirò di più, il dolore e l’impotenza espressi sono reali e tangibili, peraltro confermati dall’incrocio dei dati forniti dagli operatori.  

Il dramma nel dramma è che, secondo quanto raccolto, sono pochissime le donne che successivamente ai fatti hanno (potuto) scegliere di farsi aiutare da uno specialista per elaborare l’accaduto. 

Il dolore nella solitudine 

Vivere un dolore ed elaborarlo nella solitudine è una seconda ingiusta punizione inflitta alle donne. 

La solitudine dentro la quale hanno vissuto e poi affrontato gli eventi non può più essere ignorati. 

Ciascuno di noi, e parlo a livello di esseri umani, deve per foindagare la violenza ostetrica. La solitudine delle madrirza sentirsi chiamato in causa. Tutti nasciamo e quindi tutti abbiamo una madre che potrebbe avere subito questo genere di violenza. Dobbiamo assolutamente rompere la catena omertosa che in qualche maniera ciascuno di noi nel proprio piccolo alimenta.

Quella catena che inizia in sala travaglio ma che poi continua nelle nostre case e nelle case dei nostri parenti e amici. Una catena che si nutre di tutte quelle osservazioni inopportune rivolte alle neo mamme, delle condanne espresse con gli occhi prima ancora che con le parole. Addirittura, la catena arriva ad alimentarsi dei giudizi che dedichiamo a quelle donne che scelgono di non essere madri perché, semplicemente, sentono di non volerlo diventare. 

Tutto questo va portato alla luce, quotidianamente se necessario, non può restare silente a livello di coscienza collettiva. 

Indagare la violenza ostetrica dalla parte degli operatori

Alcuni numeri

 

indagare la violenza ostetrica: i numeri dello studioPer quanto la risposta ottenuta da parte degli operatori sia nettamente inferiore rispetto a quella fornita dalle mamme, il dato resta pur sempre significativo. 

Non fosse altro che sul piano dell’ascolto fine a se stesso, raccogliere la voce libera, autentica e non filtrata di chi ogni giorno assiste le donne durante il parto ha un grande valore. 

  • Il 75% dei partecipanti dichiara di essere ostetrica/o (un altro 12% sono infermiere/i mentre i restanti si dividono tra puericultrici, ginecologi, OSS, pediatri, neonatologi ed altro).
  • Il 42,5% ha un’anzianità di servizio entro i 5 anni. A seguire il 21.4% con un’anzianità di oltre 10 anni, il 16.9% tra i 5 e i 10 anni, tutti i restanti si dividono tra chi ha 1 anno di esperienza e chi ha solo svolto il tirocinio.
  • Il 77,2% dei partecipanti dichiara che sta attualmente lavorando, mentre la maggioranza degli altri hanno smesso da non più di 5 anni. 
  • La distribuzione regionale dei partecipanti rispecchia fedelmente quella delle mamme.
  • Alla domanda se è previsto il rooming-in nelle strutture nelle quali prestano servizio il 57,8% risponde sì e in caso di necessità i neonati possono stare al nido. 
  • Il 40,1% risponde sì ma difficilmente i neonati vengono tenuti al nido.
  • Dato di estrema importanza è quello relativo alle carenze nell’assistenza alle mamme. L’84,1% risponde di sì, le carenze ci sono. 
  • Quando si domanda quali siano le cause, secondo loro, di tali carenze emergono le difficoltà organizzative ed il ridotto supporto fornito alle mamme nel puerperio

 

Diamo voce agli operatori sul tema della violenza ostetrica

Nell’analizzare le risposte su questo tema mi sono accorta che un elemento emerge su tutti, ed è il dolore. 

Il dolore raccontato dalle donne è lo stesso dolore descritto dagli operatori i quali, però, aggiungono importanti dettagli. 

Dai loro racconti emerge in maniera chiara che ciascuno, nel proprio piccolo, cerca di porre rimedio, accoglie, interviene ma, quasi sempre, a posteriori.

E’ davvero impressionante ritrovare una simile corrispondenza, come fosse una prova del nove. Dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che le donne da un lato non mentono e gli operatori, dall’altro, non sentono di poterle smentire.

In altre parole si tratta di una triste conferma. Quella violenza esiste, avviene quotidianamente e mentre attendiamo che il vuoto legislativo venga colmato, va contrastata sul piano personale e collettivo. 

Cosa vedono gli operatori

Gli operatori, non vi è dubbio, vedono esattamente ciò che accade e troppo spesso si sentono e dichiarano impotenti. 

Le denunce quasi mai vengono fatte, né dalle donne, né tanto meno dai colleghi. 

La sensazione è che non serva a nulla farlo proprio perché la violenza appare sistemica ed il personale, talvolta, sembra assuefatto. 

Dalle risposte, però, emerge un altro dato importante, ovvero che le figure più sensibili al tema sono quelle con meno anni di servizio. Questo si potrebbe spiegare sia con un trascorso meno lungo in un ambiente desensibilizzato, che con una formazione più recente che pone maggiormente l’accento su questo tema.  

Una mia considerazione a margine 

Aprire un dibattito tra le parti, un sano e costruttivo confronto appare urgente. 

Mettere in comunicazione esperienza consolidata e nuove prassi significa agire per il bene di tutti.

Porre fine ad una competizione tra operatori, farebbe fare un enorme salto di qualità al servizio e, in ricaduta, grandi benefici per il personale. 

Promuovere incontri, formazione specifica, dibattiti e confronti includendo tutti gli attori del problema significherebbe accelerare i tempi di soluzione. Personale e future mamme vanno adeguatamente formati. Non esiste progresso senza conoscenza. 

Cosa sentono gli operatori

Dalle numerose domande poste riguardo a ciò che percepiscono in caso di violenza ostetrica, ciò che emerge è disagio, vergogna e dolore

Come detto, molti rispondono che solo in un secondo momento sentono di potersi avvicinare alla donna offesa cercando di rincuorare e offrendo sostegno. 

Quasi tutti dichiarano che è molto difficile intervenire nel mentre anche per via delle scale gerarchiche interne che non agevolano questo. 

Il timore di ritorsioni più o meno importanti, di venire isolati, esclusi o addirittura disconosciuti è grande e, dobbiamo dirlo, per certi versi anche comprensibile per quanto esecrabile.

Con queste premesse colpisce meno, quindi, osservare che la quasi totalità delle risposte, alla domanda sul grado di soddisfazione professionale, ci restituisce un quadro particolare.  Gli operatori si sentono molto più gratificati dalle mamme che dalle strutture presso le quali prestano servizio. 

 

Torniamo prepotentemente al tema del degrado strutturale. 

Un ambiente che non riconosce i propri limiti e le proprie carenze è un ambiente destinato a riproporsi identico nel tempo. 

Cosa chiedono gli operatori

L’analisi delle risposte fornite evidenzia due aspetti molto importanti: 

  • maggiore formazione del personale 
  • maggiore organizzazione in termini di risorse fisiche ed economiche 

indagare la violenza ostetrica: gli operatori sanitari

Il tema della formazione continua del personale sanitario è estremamente sentito. Segnala una carenza strutturale che va colmata anche per accorciare la distanza tra risorse in servizio da molti anni e nuove risorse. 

L’esperienza acquisita da parte degli operatori con maggior anzianità di servizio deve coniugarsi con le istanze che le nuove generazioni di operatori portano avanti. 

In realtà, invece, sembrerebbe che vi sia una sorta di competizione che impedisce questo travaso necessario di informazioni, esperienze e conoscenze e che crea distanza tra gli operatori stessi. 

Le mie conclusioni

Al termine di questo lungo articolo lasciatemi esprimere una riflessione che potrebbe sembrare troppo di parte ma che, pur essendolo, resta libera. 

La mia esperienza professionale mi mette quotidianamente in contatto con ex colleghi e nuove leve a cui trasferisco informazioni attraverso i miei corsi. 

 

Gli indicatori raccolti

Ciò che raccolgo sono indicatori di una situazione che va affrontata con urgenza e che regge all’urto della disorganizzazione grazie all’operato dei singoli professionisti che se ne fanno carico. 

I turni in reparto sono spesso massacranti, i riposi non sempre rispettati, gli stipendi ritenuti inadeguati e il clima non è certo dei migliori.

Tutti affideremmo più serenamente, io credo, le nostre vite e quelle dei nostri figli a persone più soddisfatte e messe in condizione di lavorare in ambienti stimolanti. 

Persone selezionate accuratamente anche in funzione di competenze non cliniche, quale è ad esempio la comunicazione empatica. 

Operatori sempre aggiornati, guidati dal buon senso oltre che dai protocolli. 

Non basta più dire che la professione ostetrica deve nascere da una passione personale, dalla vocazione. Oggi è necessario offrire altro a chi la intraprende altrimenti facciamo lo stesso incredibile sbaglio fatto per anni ed anni nei confronti delle donne chiuse dentro lo stigma del “partorirai con dolore e sofferenza ed essere madre sarà il tuo più grande sacrificio ripagato dai figli”. 

Fare l’ostetrica non può significare sacrificarsi per il bene altrui, deve essere altro. Deve prevedere soddisfazione personale e professionale, riconoscimento da parte delle famiglie e delle strutture nelle quali si presta servizio. 

indagare la violenza ostetrica: donne e neonatoE le donne?

Le future mamme? A loro io dedico il mio quotidiano lavoro e credo che la loro vera arma di difesa sia la conoscenza. 

Andare incontro alla maternità senza sapere cosa aspettarsi o aspettandosi qualcosa di irrealistico significa mettersi nelle condizioni peggiori, quelle più indifese e vulnerabili. 

Le donne che possono ottenere informazioni devono farlo. Quelle che per varie ragioni non possono devono essere raggiunte e messe in condizione di poterlo fare. 

Non possiamo più accettare che nel 2023 vi siano donne che arrivano impreparate al parto. E’ ingiusto, oserei dire incivile. Questo è il mio modesto parere e questo cerco di promuovere ogni giorno. 

L’ingiustizia si nutre di ignoranza. 

Affamiamola.

NOTA FINALE:

Lo studio è attualmente in fase di ultima stesura e verrà pubblicato a breve. Approfitto qui, una volta ancora, per ringraziare tutti coloro che hanno dedicato il proprio tempo alla compilazione dei questionari, Senza il vostro supporto non avrei mai potuto portare a termine questo lavoro. Ringrazio in modo particolare i colleghi operatori che con professionalità e grande umanità hanno scelto di partecipare all’indagine. Questo non era affatto scontato accadesse.

BIBLIOGRAFIA 

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3 commenti su “Indagare la violenza ostetrica

  1. Roberta Monti ha detto:

    Grazie Grazie Grazie❤️

    1. Alessandra Bellasio ha detto:

      Grazie a te <3

  2. Mara Giordano ha detto:

    Purtroppo ho subito violenza ostetrica, a distanza di 2 mesi non riesco ancora a dimenticare e avere bei ricordi del parto che già di per sé era complicato, ma che è divenuto un incubo quando c’è stato il cambio turno. Da un’ostetrica dolce, gentile, che mi incoraggiava ad una che mi ha urlato addosso e fatto sentire inadeguata e facendomi male fisicamente.

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