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Attaccamento materno: istinto o biologia? A questo quesito rispondono, oggi, le recenti scoperte scientifiche, risposte che vanno ben al di là della nostra più fervida immaginazione . 

Solitamente siamo portati a credere che il forte legame tra madre e figlio abbia solo a che vedere con una spinta istintuale della prima verso il secondo. Ora, però, la scienza ci racconta qualcosa di molto diverso. Essa infatti  ci spiega che all’origine di tale attaccamento vi è uno scambio cellulare bidirezionale di cellule tra madre e feto. Tale scambio determina veri e propri mutamenti in diversi organi e, in particolare, nel cervello. 

 

Il tema è tanto complesso quanto affascinante, è dunque importante  procedere con ordine e capire esattamente di cosa si sta parlando. 

Premessa

L’attaccamento materno e, più in generale, genitoriale si declina in differenti modi. Essere genitori, lo sappiamo bene, non implica necessariamente esserlo biologicamente. Sottolineo il dato per chiarire che l’argomento di cui tratto in questo articolo è solo uno degli aspetti genitoriali e non preclude tutti gli altri. La ricerca scientifica che fa da sfondo alle riflessioni che seguono è, però, talmente interessante che è impossibile ignorarla. Gli scenari che apre sono innumerevoli e, oltre a spiegare alcuni fenomeni, inducono una riflessione su molte possibili implicazioni future. 

I passi della scienza

Che le cellule fetali migrino nel corpo materno è un dato noto già dagli anni ‘60. Nel corso dell’ultimo decennio, però, la ricerca ha fatto passi da gigante. Sono state scoperte, infatti, le cosiddette cellule progenitrici associate alla gravidanza (pregnancy-associated progenitor cells PAPCs). Si è inoltre osservato che esse agiscono in maniera specifica sul corpo della madre. In particolare, dopo avere attraversato la placenta, è oggi chiaro che vanno a colonizzare vari organi materni. Una volta raggiunta la meta operano in maniera differente a seconda dell’organo colonizzato. Tra questi i polmoni, il cuore, il midollo, la milza, i reni, il fegato e persino il cervello. 

Tale scambio cellulare madre-feto inizia  dalla quinta settimana di gravidanza e prosegue fino al parto. Definito in termini scientifici microchimerismo, indica la presenza di cellule estranee rispetto a quelle dell’ospite (le cellule fetali, infatti, hanno un patrimonio genetico al 50% di origine materna e al 50% di origine paterna). Grazie a ciò è possibile, ad esempio, effettuare il DNA test intorno alla 11-12 settimana di gestazione.  La ricerca ha dimostrato che la sopravvivenza di queste cellule nella donna dura per almeno 27 anni, ma si presume che possa addirittura essere maggiore. 

Quali le funzioni delle cellule fetali nell’organismo materno?

Premesso che scienza e ricerca stanno ancora indagando il fenomeno, ad oggi si ipotizzano diverse funzioni che queste cellule svolgono nel corpo materno. 

Ottimizzazione della tolleranza immunologica verso il feto che, lo ricordiamo, possiede un 50% di DNA paterno, quindi estraneo alla madre. 

Capacità rigenerativa di tessuti materni lesi (la ricerca è ancora in corso ma sembrerebbe fornire dati interessanti riguardo alcune malattie degenerative).

Modulazione della neo-neurogenesi ovvero la capacità di giungere al cervello materno e generare nuovi neuroni che, fondendosi con quelli materni, daranno vita a nuove sinapsi integrate con quelle della madre.  

E’ in particolare questo aspetto a offrire i più rilevanti spunti di riflessione circa l’attaccamento materno nei confronti del bambino. 

Attaccamento materno: istinto o biologia?

Attaccamento materno: istinto o biologia?

“Quando ho scoperto di essere incinta non mi aspettavo la reazione immediata del mio corpo. Ho sentito le gambe tremare, il cuore impazzire e la mente offuscarsi per un tempo che non saprei davvero quantificare. Ho dovuto sporzionare quel pensiero in tanti piccoli micro pensieri prima di capire cosa realmente mi fosse accaduto. Ero lontana dall’idea di maternità, non me lo aspettavo e non ci avevo mai realmente pensato. Quello che ho provato non si è mai più ripetuto nella mia vita. Ho sentito cambiare i miei pensieri, come se una forza estranea al mio controllo se ne impadronisse. E’ stato il viaggio più incredibile della mia vita e mi sono sentita guidata da qualcosa dentro di me che mi accompagna ancora oggi.”

Sabrina P.  

Ed eccoci arrivati allo snodo più interessante di queste ricerche. La migrazione delle cellule progenitrici associate alla gravidanza – PAPCs-  è maggiore nel lobo limbico del cervello materno. Si tratta della porzione di cervello che controlla l’affettività, la memoria e le emozioni, più nello specifico le regioni dell’amigdala e dell’ippocampo. Grazie all’impiego di risonanze magnetiche in donne alla prima gravidanza, si è visto che in questi dipartimenti l’attività rigenerativa delle PAPCs è particolarmente elevata.

Una delle più straordinarie conseguenze di tale processo è la formazione di nuove connessioni cerebrali che influiscono sulle capacità empatiche della donna. Si tratta, dunque, di un processo che porta la madre ad essere maggiormente predisposta ad intendere e cogliere le emozioni altrui. La straordinarietà di tale scoperta risiede nel fatto che, oltre all’indole e al carattere della donna, anche la biologia cerebrale interviene per predisporla all’accoglimento del bambino. 

Attaccamento materno e dialogo materno-fetale

Se l’attaccamento materno è dunque spesso istintuale, ora sappiamo che non è solo per via di una legge di sopravvivenza creata apposta dalla natura. Di mezzo ci sono anche la biologia e lo scambio cellulare madre-figlio. L’inizio, come abbiamo detto, avviene intorno alla quinta settimana. La neo-neurogenesi, però, ovvero questo dialogo neurale madre figlio, parrebbe protrarsi addirittura per i primi due anni dopo la nascita del bambino. 

E’ un po’ come dire che il feto si organizza per preparare la mamma ad accoglierlo, mentre il corpo materno si lascia trasformare da un punto di vista biologico e cerebrale allo stesso scopo. 

Entrambi collaborano per costruire quella relazione che li vedrà uniti quasi simbioticamente a lungo e che è garanzia di sopravvivenza per il piccolo. 

Un dialogo d’amore che esordisce molto presto e che ha il potere di mutare ciò che fino a ieri si pensava semplicemente predeterminato. 

Un passo avanti enorme per la scienza e per la ricerca che, a questo punto, non osiamo immaginare quanto ancora abbiano da raccontarci. 

In conclusione

Attaccamento materno: istinto o biologia?Se fino a poco tempo fa si pensava che l’attaccamento materno fosse inizialmente unidirezionale, ovvero dalla madre verso il figlio, oggi sappiamo che non è così. 

Il feto inizia molto presto ad inviare messaggi biologici alla sua mamma, addirittura a livello embrionale, e continua a farlo per tutto il corso della gravidanza. Questi messaggi modificano le reazioni cerebrali materne inducendo un attaccamento che non è più solo istintuale bensì chimico-biologico. 

Gli effetti sono a lungo termine e possono addirittura trasferirsi ai figli successivi al primo. La ricerca ha infatti recentemente suggerito la trasmissione al feto di cellule dei figli maggiori fino addirittura ad arrivare a cellule della nonna materna. Questo offre alle mamme che hanno perso un figlio una prova di ciò che loro già percepiscono come realtà mentale. Una parte dei loro bambini resterà per sempre e potrà essere trasmessa ai figli che verranno o forse, addirittura, ai nipoti.  

In definitiva, decifrare questo linguaggio biologico di cui oggi conosciamo ancora poco sarà compito della ricerca futura. Per adesso ci basti sapere che l’attaccamento materno ha le proprie regole e le proprie ragioni. Esso, unito all’amore che un figlio, biologico o meno, genera nei genitori, può avvalersi anche di altri strumenti. La strada è lunga ma oramai è stata imboccata e non ci resta che continuare il viaggio

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