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Il bisogno di contatto fisico nel neonato e nel bambino non riguarda esclusivamente il soddisfacimento delle necessità primarie quali nutrizione e accudimento. 

Si tratta, molto più profondamente, di un bisogno psichico. 

Esso si nutre soprattutto di contatto fisico e la sua insoddisfazione genera deficit organici che possono perfino condurre alla morte. 

Nell’affrontare questo tema, oltre a comprenderne la portata, intendo palesare in maniera inequivocabile l’importanza estrema del contatto madre bambino (o caregiver bambino). 

In questo modo risulta evidente quanto sciocco ed inutile sia rimproverare un neo genitore accusandolo di tenere troppo spesso in braccio il proprio cucciolo. 

Esistono dei meccanismi biologici che stanno alla base della necessità di contatto tra mamma e neonato. Tali meccanismi vanno conosciuti, rispettati e sostenuti.

 

L’importanza del contatto fisico nel neonato e nel bambino e la storia

Già nel XIII secolo il francescano Salimbene de Adam lasciò una testimonianza di quanto importanti fossero l’interazione ed il contatto fisico per i bambini. 

Nella sua opera Cronaca riporta un esperimento ideato dall’Imperatore Federico II di Svevia, il cui scopo era distante da questo tema rivelandone, però, l’estrema importanza. 

Poiché l’obiettivo era stabilire se la lingua umana derivasse dall’egiziano, dal frigio o dall’ebraico, si pensò di nutrire un gruppo di neonati in totale silenzio.

I piccoli, privati di qualunque forma di interazione fisica non indispensabile al loro accudimento primario, vennero così studiati nel tempo. 

In questo modo si intendeva scoprire quale lingua avrebbero appreso. 

Ebbene Salimbene si rese conto che non solo i bimbi non impararono alcuna lingua ma addirittura furono condotti alla morte cadendo in una sorta di apatia sempre più profonda. 

Gli studi sperimentali di René Spitz

Al di là della veridicità o meno di quanto riportato da Salimbene (gli storici hanno ricostruito solo in parte la vicenda), oggi sappiamo che quella tesi, parecchi secoli dopo, venne indirettamente accreditata dallo psicanalista viennese René Spitz. 

Questi, infatti, nel secondo dopoguerra condusse uno studio scientifico sperimentale sui piccoli abbandonati in orfanotrofio, giungendo alle medesime conclusioni di Salimbeni. 

Poiché la camerata che ospitava i bimbi era molto grande, lo psicanalista osservò che nonostante tutti fossero stati nutriti allo stesso modo, quelli più vicini all’entrata avevano ricevuto più contatti, mentre quelli in fondo alla stanza ne avevano ricevevano meno in quanto, per loro, rimaneva meno tempo. 

Ebbene, dopo solo 90 giorni i bimbi in fondo alla sala avevano sviluppato una severa apatia, ritardi motori, inespressività e ritardo nella coordinazione oculare. 

Poco a poco avevano finito con l’immobilizzarsi nelle proprie culle e, dato impressionante, il 37% di loro morì entro i due anni di vita. Altro dato particolarmente significativo fu che tra i sopravvissuti, la buona parte non apprese a camminare e parlare. 

Gli studi più recenti

Lo studio di Spritz venne a sua volta ripreso negli anni ‘90 da più ricercatori tra i quali Metha e altri (The english and Romania adoptees study), Rutter e altri (Early adolescent outcomes of institutionally deprived and non-deprives adoptees), Zeanah e altri (The Bucarest early intervention project core group). 

Malauguratamente, tutti confermarono che l’assenza di contatto fisico, accudimento emotivo ed interazione conducevano ai medesimi tristi esiti fatali. 

Cosa ci insegna la scienza riguardo al bisogno di contatto fisico

Le evidenze scientifiche che ho riportato ci insegnano qualcosa di ormai acclarato. 

Il piccolo ha la necessità assoluta di essere accudito amorevolmente. Ha bisogno del contatto fisico con la madre o con altri caregiver. 

Lui ed il suo cervello non si nutrono di solo latte, bensì di prossimità fisica, carezze, parole, attenzioni e abbracci. 

Dopo il parto il bambino ha la necessità di mantenere uno stretto contatto con la madre. Questo gli consente di conoscere, attraverso lei, il mondo, di sperimentare la propria presenza in esso e di posare, sin dai primi momenti, i mattoncini della propria personalità

Rispetto ad altri mammiferi, infatti, i cuccioli umani nascono avendo un estremo e indispensabile bisogno di accudimento senza il quale non possono in alcun modo sopravvivere. 

padre con neonato in braccio IMPORTANTE: 

Quando si parla di bambini non accuditi non si sta parlando di una saltuaria mancanza di attenzione. Una mamma che non accorre al primo vagito del figlio perché sta accudendo il fratellino non è una mamma disattenta. Qui si parla di carenze ben più che occasionali, direi piuttosto sistemiche. 

Gestazione ed esogestazione e il bisogno di contatto fisico nel bambino

Parliamo di esogestazione, quindi, riferendoci al periodo che, in linea di massima, va dalla nascita a quando il bambino inizia a gattonare autonomamente (tendenzialmente intorno ai 9 mesi). 

Lo “strappo” che avviene al momento del parto tra madre e bambino richiede tempo per essere superato. 

Sia da un punto di vista prettamente organico, che da quello psichico ed emotivo, le necessità del neonato sono varie e coinvolgono un po’ tutti gli organi del piccolo, primo fra tutti il cervello. 

mamma e neonato in fascia Il bambino nasce immaturo anche se a termine

Il cucciolo d’uomo, di fatto, viene al mondo più immaturo rispetto agli altri mammiferi e in qualche misura nei primi mesi si impegna prevalentemente a riguadagnarsi la sua mamma, riavvicinandosi a lei in caso di necessità o quando si sente sperduto e abbandonato in un mondo di cui comprende poco o nulla.

Rispetto agli altri mammiferi il cucciolo di uomo è molto meno autonomo alla nascita. 

Un cagnolino o un gattino nel giro di una o due settimane riesce a muoversi autonomamente mentre i nostri bambini impareranno a farlo mesi e mesi più tardi. 

Per questa ragione si parla sempre più spesso di esogestazione, ovvero il primo periodo di vita extrauterina che dura circa 9 mesi. 

La spinta precoce all’autonomia non ha fondamento

Per nascere con le competenze sufficienti ad essere un piccolo essere a sé stante la gravidanza dovrebbe durare 18 mesi, cosa impossibile poiché l’addome materno non potrebbe contenere il bambino e la sua nascita sarebbe resa impossibile dalle dimensioni della sua testa.

Ecco allora che ai nostri cuccioli servono i mesi della cosiddetta esogestazione per svilupparsi, mesi nei quali hanno bisogno di contenimento e contatto, di cure amorevoli e calore materno. 

Questo concetto sfugge ancora a coloro che ritengono che i bambini vadano spinti precocemente all’autonomia come se la dipendenza materna fosse, anziché una necessità, un vizio o una debolezza. 

La mamma umana è molto più simile alla mamma canguro o koala, ovvero alle mamme che tengono i propri cuccioli stretti a sé riproducendo in loro quel senso di contenimento che hanno vissuto in epoca uterina.

Misconoscere tutto questo comporta un approccio errato alla gestione del neonato. Si tratta di una carenza  di informazioni corrette che si ripercuote non solo sui bambini ma anche sulle generazioni future. Per questo è importante informare e formare tanto i genitori quanto i sanitari.

Il bisogno di contatto fisico del neonato va rispettato

Rispettare questo bisogno fisiologico e primario del neonato è un sacrosanto diritto di mamma e bambino. 

Si tratta di un legame specialissimo che assume la stessa importanza della nutrizione e delle cure di prossimità. 

Se la mamma tiene in braccio il proprio cucciolo, non giudicare, non interferire, non offrire consigli non richiesti e soprattutto non ti intromettere. neonato sulla pancia della mamma

Se il piccolo non ti viene dato in braccio, non lo chiedere, significa che non è il momento, che la mamma per qualche ragione ritiene stia meglio accanto a sé. Ricordiamolo, è lei a stabilire cosa è bene e cosa no per suo figlio.

Non c’è alcuna morbosità in questo, al contrario, c’è amore, un amore tanto istintuale quanto consapevole, che la scienza ha dimostrato essere funzionale alla corretta e completa crescita dei bambini. 

La frase che ogni mamma, almeno una volta, si è sentita dire

Caspita, hai sempre tua figlia in braccio, non ti stacchi mai, in questo modo crescerai una bambina viziata, lascia che pianga, che si abitui da subito e non correre da lei ad ogni suo strillo!

In questa fatidica frase, che tutte almeno una volta abbiamo udito se non riferita a noi a qualche altra mamma, sussistono almeno quattro pericolosissime insidie. 

  1. Crescerai una bambina viziata: non esistono i vizi quando si parla di neonati o bimbi di pochi mesi. Si tratta di esigenze. Il neonato ed il bambino non sono per nulla autosufficienti e pensare che accudirli, assisterli, coccolarli oltre che nutrirli significhi viziarli è l’errore più sciocco e, purtroppo, comune che si possa fare. 
  2. Lascia che pianga: No! Non è un capriccio, non può esserlo, il tuo bambino non si nutre soltanto di latte ma anche e soprattutto di contatto e amore, tienilo vicino, questa necessità è vitale!
  3. Lascia che si abitui: pensaci, se tu al tuo primo lancio con il paracadute venissi imbragato e buttato giù da un aereo senza istruttore, come ti sentiresti? Ammesso che durante la discesa, nonostante il panico, tu riesca comunque ad aprire il tuo paracadute, credi che ti lanceresti un’altra volta? Ecco questo è ciò che accade quando lasciamo piangere un neonato convinti che “così si abituerà a consolarsi da solo”. Non c’è nulla di educativo nel non accudire i piccoli, c’è solo ed unicamente il panico nel quale li abbandoniamo a loro stessi. 
  4. Non correre da lei ad ogni suo strillo: come detto sopra, se non dai seguito al pianto del neonato si sentirà atterrito, abbandonato e perso in un mondo sconosciuto di cui non può che avere timore poiché non ne ha alcuna contezza e controllo. Questo non significa che tu debba anticipare ogni sua richiesta, ma di certo significa che dovrai soddisfarla quando si presenta. 

Una conclusione di più ampio respiro

Comprendere tutto questo non vuole dire solo ed esclusivamente parlare ai genitori, ai loro amici ed ai loro parenti. 

Affrontare questo tema, parlare dell’importanza dell’esogestazione, divulgare questi concetti e promuoverne la pratica significa parlare in senso più ampio alla società. 

Lo sanno bene le mamme lavoratrici dipendenti che, per prolungare la maternità dopo la nascita del bambino, sono costrette a fare una scelta tra necessità economica e necessità genitoriale

Dedicherò prossimamente un articolo a questo delicatissimo tema, per ora, mi limito a sottolineare una contraddizione evidente tra quelle che sono le linee guida riguardo alla maternità e quelle che sono invece le prassi nel mondo del lavoro femminile. 

Nulla è perfetto, tutto però è perfettibile.

 

 

Bibliografia 

https://www.nuffieldfoundation.org/project/english-and-romanian-adoptee-study

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/18093025/

https://www.youtube.com/watch?v=bF3j5UVCSCA&t=120s

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1 commenti su “Il bisogno di contatto fisico

  1. Claudia ha detto:

    Semplicemente fantastica.

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